venerdì 26 dicembre 2014

Cambiare il presente dell'Italia con il futuro (del Giappone)


Mi ero ripromesso che qui non avrei mai scritto una recensione ma, arrivato al quinto post, devo rimangiarmi ogni patto fatto con me stesso. Perché l'opera in questione merita un ragionamento il più possibile lucido su quello che vuole essere nel mercato italiano e su quanto possa essere importante per il futuro.
Il fumetto di cui voglio parlarvi è Golem, progetto quasi decennale di Lorenzo Ceccotti in arte LRNZ comparso periodicamente sulla bocca di tutti (e anche su qualche testata auto-prodotta) nel corso degli anni e che finalmente arriva nella sua versione rifinita e completa.


Roma. Anno 2030. L'Italia è un posto profondamente diverso. Avanzamento tecnologico, globalizzazione e consumismo hanno stravolto la natura stessa del paese; ormai diventato irriconoscibile e sempre più inghiottito da un processo di standardizzazione che priva di ogni personalità ciascun stato del mondo. Il capitalismo ha vinto, lo status-symbol rappresentato dal possesso dell'ultimo modello di smartphone (qui chiamati "desmophones") è ormai l'unica legge a cui obbedire. Un futuro colorato, pimpante ma solo apparentemente. Perché la logica del consumo tiene schiavi solo persone felici. E' questo il mondo in cui ci catapulta Golem nelle primissime pagine, attraverso il classico discorso alla nazione di Capodanno del Presidente della Repubblica. Un discorso carico di crudezza distopica che, in una manciata di tavole, introduce la vicenda.


Sarebbe eccessivo fermarsi ulteriormente ad approfondire la trama di questo libro. Perché toglierebbe il gusto di addentrarsi passo dopo passo assieme a Steno, il protagonista di Golem, nell'atmosfera e nell'ambientazione che sono i veri punti di forza del tutto. Vanno, però, fatti una serie di appunti. Se da un lato, infatti, l'Universo tirato su da LRNZ è credibile, coeso e sorretto da fondamenta grafiche di primissimo ordine (su cui tornerò più avanti), dall'altro la narrazione in quanto tale, parlando strettamente di svolgimento, è piuttosto lineare e prevedibile ma non inficia, non troppo almeno, il lavoro che adempie in maniera perfetta la sua funzione. Ma qual è questa funzione? Andando a sbirciare la strategia di marketing che la Bao Pubblishing, casa editrice di questo fumetto, ha utilizzato per promuovere il prodotto noteremo una certa aggressività e convinzione ferma nei confronti di quanto questo possa davvero sconvolgere il fumetto italiano in maniera definitiva. Ed è proprio questo il punto in cui Golem eccelle: in un mercato ormai saturo di "pillole di vita quotidiana" come quello del fumetto autoriale italiano contemporaneo una storia che attinge a ritmi, di ampissimo respiro, e a costrutti grafici così lontani dall'abitudinario (per quanto riguarda la media dei prodotti di questo tipo in Italia) può davvero cambiare il modo in cui viene descritto, concepito, costruito e letto l'intero medium.



Ma quali sono i modi che Lorenzo Ceccotti usa per rendere tutto ciò qualcosa di più di un semplice tentativo?Ce ne sono moltissimi, come ad esempio il volere dare a quasi tutti i personaggi nomi che esulano dalla tradizione italiana, ma il più esemplificativo è sicuramente la costruzione grafica e la composizione delle tavole. Lo stile di Golem cita da vicino la grande tradizione fantascientifica nipponica con rimandi a autori colossali come Urasawa, Otomo e Kon da cui eredita il gusto per il dettaglio. Il tutto viene incastonato in tavole dalla composizione creativa e imprevedibile a cui raramente abbiamo assistito in prodotti provenienti dal nostro paese.


Se dovessi, infine, riassumere Golem in maniera sintetica: non si tratta di un fumetto che verrà riconosciuto come un "must-read" riconosciuto in maniera globale in ogni parte del nostro pianeta, uno di quei classici imprescindibili per chiunque voglia avvicinarsi alla nona arte. Ma ci ricorderemo di questo libro come il primo esempio di fumetto italiano che vuole competere a livello internazionale su territori non propri della produzione italia. E' questo è un onore non da poco.

-Luca





domenica 21 dicembre 2014

Occhi bionici ed effetto telenovela



Potrei sbagliarmi ma c'è troppa gente che confonde il progresso tecnologico con funzioni tecniche necessarie.
Come penso sappiate negli ultimi 20 anni circa, cifra assolutamente ipotetica, il mondo dell'immagine (il cinema, la fotografia, il graphic design, il videogioco eccetera) e ogni cosa ad esso collegata hanno subito un'evoluzione repentina e a cui difficilmente si riesce a stare dietro. Serve quindi una breve delucidazione su quello che è successo, sta succedendo e succederà nella sfera dell'intrattenimento legato al visivo.
Risoluzione (misurata in pixel x pixel), rapporto d'aspetto, sensori, frequenza di aggiornamento (misurata in Hz) e frequenza dei fotogrammi al secondo (misurata in fps) sono alcuni dei temi più caldi della questione: c'è chi sostiene sia essenziale che tutti i parametri siano altissimi, e chi invece reputa esistano delle priorità sottolineando che nell'arte, e in quella visiva principalmente, la componente strettamente tecnica (o meglio tecnologica, in quanto non si tratta di sapere usare gli strumenti ma degli strumenti in sé) aiuti ma non sia l'unica cosa a rendere un prodotto migliore di un altro. Per capire di quale parrocchia io faccia parte e per quali motivi, tenendo bene conto che parlo da consumatore e non da professionista, possiamo vedere insieme le applicazioni pratiche degli argomenti citati poche righe sopra e svolgerli in modo tale da fare chiarezza. Prenderò come esempi principali i megapixels, il FullHD e il framerate. Perché sono quelli più significativi e semplici.



Per "megapixel" si intende l'unità di misura, in milioni di pixels (picture element, l'unità di misura standard dell'immagine digitale), usata per indicare la superficie di una fotografia, di un video, di qualsiasi cosa. Immaginatelo come un riquadro di dimensioni x pixels per y pixels all'interno del quale si trova l'immagine (statica o dinamica che sia). Sicuramente avrete trovato questa sigla su moltissimi degli strumenti che usate quotidianamente: sia sulle vostre fotocamere digitali che su dispositivi che non hanno come funzione primaria quella di scattare fotografie come la stragrande maggioranza dei telefoni cellulari in commercio attualmente. A cosa serve questo dato e in che modo influisce sui nostri scatti?E' giusto dire che scatti ad alti megapixels sono più "belli" di scatti a minor risoluzione? L'influenza che questa unità di misura ha su una fotografia è relativa, poiché (come nella fotografia analogica era la pellicola a decretare la qualità del prodotto finito) è il sensore (un cilindro di silicio con all'interno vari foto-diodi grazie ai quali imprime la luce raccolta durante lo scatto che viene poi convertita in calcoli numerici da un elaboratore) che fa la vera differenza. Immaginiamoci di scattare a una quantità di pixel esorbitante, sopra la decina di milioni, ma con un sensore non adatto ad imprimere una quantità sufficiente di immagine per riempire tutto il famoso rettangolo che è la risoluzione con cui l'elaboratore digitale crea la foto. Quale sarà mai il risultato? Semplice: l'elaboratore compirà uno "stretching" della foto fino a raggiungere la quantità di pixel voluta. E' quindi chiaro che non siano i megapixel da soli a sancire la buona riuscita di uno scatto, così come non è solo il sensore a tornarci utile per questo compito (ci sono, infatti, altre innumerevoli variabili che vanno da componenti hardware, come obbiettivi e lenti, a software come le impostazioni della nostra fotocamera digitale). Per un approfondimento decisamente più competente del mio potete andare qui.


Oltre ad avere uno dei loghi ufficiali più brutti di sempre Full HD è un termine coniato da un consorzio di varie aziende attive nella produzione di apparecchi per la registrazione e la trasmissione di immagini digitali dinamiche (video) quali videocamere, televisori, monitor e proiettori per indicare la risoluzione dei loro prodotti. Se volessimo tornare a misurare con i megapixels, nello specifico il Full HD ne ha circa 2, stiamo parlando di un rettangolo di 1920 x 1080 pixels. E' quindi giusto dire che un'immagine dinamica girata e trasmessa a 1080p sia qualitativamente perfetta?E' giusto dire che se una console per videogiochi riproduce quella immagine a una risoluzione x è superiore ad un'altra che lo fa a risoluzione y? La risposta è praticamente la stessa che ho riportato per le fotografie, quindi immagini statiche, ma non soltanto. Anche qui ci sono tantissime variabili che influiscono sulla resa visiva del prodotto, sono praticamente le medesime che ho elencato prima a cui possiamo aggiungere, ad esempio, la risoluzione nativa (ossia originale) di un modello digitale che viene poi "convertito" tramite stretching alla risoluzione voluta ma il succo del discorso rimane il medesimo. Pure questa volta l'internet è pieno di fonti realizzate da gente decisamente più preparata di me, questo video su tutti.



Per parlare di frame rate, infine, bisogna partire dal concetto che un'immagine dinamica è un'insieme di singoli scatti, chiamati fotogrammi, messi in fila uno dietro l'altro che tramite l'interpolazione (ossia la naturale sovrapposizione di due immagini in rapida sequenza che il nostro cervello compie) danno l'illusione del movimento. Maggiore è il quantitativo di fotogrammi presente in un secondo di girato maggiore sarà la fluidità che il nostro occhio percepirà. Ora qui si inizia a parlare di gusti personali, quindi opinabili, ma da appassionato di cinema e videogiochi posso capire come l'utilizzo di un maggior numero di fotogrammi possano migliorare la fruizione del prodotto nel secondo caso ma mi è completamente oscuro come questa cosa renda maggiormente piacevole il primo. Il cinema è, da quasi sempre anche ora che è in digitale, proiettato ad una frequenza che va dai 24 ai 26 fps. Una frequenza superiore, come potrete giudicare voi stessi andando a vedere Lo Hobbit a 48 fps, unita ad un'alta frequenza di aggiornamento dell'immagine del proiettore/televisore accentua sì la nitidezza ma aumenta anche quell'effetto "telenovela" tipico dei prodotti televisivi (che sono girati e trasmessi a frequenze superiori a quelle standard del cinema). E questo è un problema enorme per il sottoscritto, poiché toglie tutta la sospensione dell'incredulità allo spettatore presentandogli un prodotto fin troppo vicino a ciò che normalmente vede. Anche per questo argomento vi rimando ad un video, sempre di Vsauce lo stesso del precedente.

In conclusione: la tecnologia che cos'è?Quello che deve essere: un supporto, un appoggio. Un aiuto alla creatività, non un obbligo.

-Luca

martedì 9 dicembre 2014

Non vi interessa cosa si dice ma chi ne parla



Potrei sbagliarmi ma in questi giorni si fa un gran parlare di una cosa che non mi pare tutto questo granché.
Prima di iniziare a sproloquiare vorrei partire da un presupposto: chi vi scrive è sempre stato decisamente scettico nei confronti delle teorie complottiste (tant'è che Protesi di Complotto è una delle mie fonti di risate sicure) e quindi potete immaginare che il binomio complotti + Mediaset che si riassume nella figura di Adam Kadmon e delle sue due trasmissioni (più blog, riviste e quant'altro) mi faccia quanto meno sorridere se accostato alla parola "credibilità".

Sentire di un servizio contenuto nella trasmissione "Rivelazioni" (che potete vedere qui dal minuto 12 in poi) di Italia 1 a tema cartoni animati giapponesi, quindi, provocava in me ben più di una perplessità. Inizialmente decisi di ignorare completamente il tutto, convinto che il contenuto pressapochista tipico di chi scrive per Studio Aperto (perché sì, le persone che compongono le redazioni di quasi tutti i programmi di informazione di quel canale sono quasi sempre le stesse) avrebbe oscurato ogni argomentazione valida o meno. Poi il servizio l'ho visto, e sì ci sono alcuni appunti da fare, ma non capisco tutto il fragore e l'astio che ha scatenato sui social networks. Il servizio altro non è se non un tipico articolo divulgativo, ovviamente con le dovute cifre stilistiche che derivano dal format e dal target del programma, che non racconta molto di più, o di meno, di quanto si può trovare in rete. E' innegabile che, rispetto ai veri esperti, quanto proposto non sia poi così approfondito e/o aggiornato (basti pensare che buonissima parte dei prodotti citati hanno più di 15 anni dalla messa in onda italiana alle loro spalle) e che può apparire ipocrita che l'azienda che ha promosso la diffusione dei cartoni animati giapponesi parli "male" di questa forma di intrattenimento. Peccato che male non ne parla, perché quella che dipinge è una realtà. Tralasciando la parte in cui viene tirata in ballo, sempre per motivi che derivano dal leitmotiv del programma, la questione complottista tutto il resto del servizio non è una condanna come molti fan di anime e manga hanno voluto credere. Perché per loro basta che un medium a cui per partito preso si sentono distanti parli del loro hobby per capire a priori e a prescindere cosa vuole comunicare e che comunque non ci capisce niente. Non sto qui a citarvi l'immensa bibliografia di saggi e approfondimenti, accademici e non, relativi all'argomento (il link citato qualche riga fa è un ottimo punto di partenza, nel caso) e che in maniera decisamente più competente rispetto a Kadmon dimostrano quanto contenuto nel servizio ma sappiate che la realtà non è poi così distante da quella rappresentata da lui (o meglio, loro) Domenica sera.

Concludo con una domanda: tutto questo scalpore e tutta questa indignazione da cosa derivano precisamente?Quale parte del servizio dovrebbe infastidire?

Grazie per l'attenzione.
-Luca

martedì 2 dicembre 2014

Abbiamo gli strumenti per incuriosirci ma...


Potrei sbagliarmi ma inizia a mancarci la curiosità. Sembra quasi che tutto quello a cui ci sottoponiamo, a prescindere dal tipo di prodotto, debba essere standard per poterci piacere. E sembra anche che, nonostante abbiamo gli strumenti per poter cambiare questa tendenza, li usiamo per alimentarla.
Prendiamo ad esempio Shazam uno dei servizi più famosi e utilizzati per smartphone e tablet da quando questi dispositivi sono apparsi sui vari mercati. Per chi non sapesse di cosa si tratta, oltre che ricevere i miei complimenti per essere sopravvissuti illesi in una caverna per tipo 12 anni, Shazam è un programma che permette, tramite un particolare algoritmo, di calcolare la frequenza media di una canzone e quindi riconoscerla. Detto così sembra una cosa mistica e impossibile da comprendere ma se la riassumo con "tu schiacci il pulsantino, lei registra il brano che stai sentendo e ti dice che canzone è" le cose si semplificano. Ecco questa applicazione è l'esempio calzante dell'avere ottimi strumenti per poter accrescere la propria sete di sapere utilizzati nella maniera più sbagliata possibile.
In questo articolo (che se volete trovate qui tradotto e riassunto) viene spiegato nel dettaglio, tramite il video posto alla fine del primo paragrafo, quali siano i problemi derivanti da un uso improprio di uno strumento dal potenziale vastissimo come Shazam. Nello specifico si parla di come le classifiche che elencano le canzoni maggiormente "taggate" (di cui qui potete osservare quella dedicata al mercato italiano e che potete confrontare con la lista delle 30 canzoni più suonate dalla radio commerciale RTL 102.5) orientino le case discografiche nel decidere quali cantanti diventeranno la "next big thing" della musica pop. Come, vi chiederete voi, tutto ciò diventa un problema tangibile?Semplice, dal momento in cui le canzoni più popolari tra gli utenti di un programma che, teoricamente, dovrebbe far conoscere musica sono le medesime che si aggirano nelle radio e nei vari mass-media automaticamente i produttori sono portati a creare una serie di cloni che, a loro volta, genereranno un'altra serie di cloni. Senza poi contare che anche Shazam stessa ha voluto fare "la mossa" cercando di spingere in maniera ufficiale, e non più ufficiosa tramite il successo tra i fan, determinati artisti che hanno ricevuto consensi tra gli utilizzatori della piattaforma. Insomma, un gran casino. Casino che lascia spiazzati se, quando andiamo a guardare la suddetta classifica italiana, alla 68esima posizione troviamo nascosto da un mare di "radio friendly songs" un pezzo decisamente più underground e ricercato (a livello italiano, almeno) come Chimes di Hudson Mohawke senza soluzione di continuità.
Non stupisce quindi che il panorama musicale si stia conformando se quando il pubblico ha la possibilità di cambiare la faccenda conferma la sua voglia di standardizzazione di suoni e tematiche. La cosa che mi preoccupa davvero è che questo sistemi cambi anche le sorti della comunicazione visiva grazie al servizio Shazam ADV che di fatto costringe a prestare più attenzione agli spot che guardiamo per azzeccare il momento opportuno in cui far partire il nostro ditino sullo schermo del telefono.

Per questa volta è tutto.
-Luca

giovedì 27 novembre 2014

Odiare un personaggio


Potrei sbagliarmi ma questa cosa del tifo da stadio, dello schieramento che equivale a una presa di posizione riguardo alla qualità del proprio rispetto a quello altrui, quando guardate, leggete o giocate a qualche cosa non ha proprio senso. Io posso capire che un determinato personaggio possa piacervi più di altri per le cose che fa ma questo non può e non deve influenzare il valore della scrittura di esso. Le sue azioni potrebbero darvi fastidio, nessuno ve lo vieta, ma non è un indice rilevante per capire quanto sia coerente ai fini che, chi lo ha creato, pensava di ottenere.

Esistono, in rete, moltissime classifiche (dal valore decisamente poco autorevole, come buonissima parte dei contenuti internettiani compreso il blog che state leggendo) che elencano i personaggi più fastidiosi di un determinato medium. Troviamo anche comunità su Tumblr che raccolgono le segnalazioni degli utenti e analizzano i motivi per cui un personaggio è odiato dalla maggior parte dei fan di un prodotto per poi stilare un articolo in sua difesa. I più gettonati, sia negli esempi da me riportati che girovagando sui vari social-networks, sono sostanzialmente tre, che andrò ad analizzare singolarmente. Ciascuno rappresenta un diverso livello, e motivo, di odio e va a modificare in maniera molto sensibile il senso delle lamentele. 


1) Jar Jar Binks - nuova trilogia di Star Wars (episodi I, II e III)



Oltre ad essere stato, in tempi non sospetti, il primo esempio di avatar virtuale di un personaggio che sarebbe diventato famoso qualche tempo dopo (lui), Jar Jar è anche universalmente riconosciuto come il personaggio più detestato dai fan di qualunque cosa della storia. Questo tipo di personaggi è l'unico per cui trovo giustificato l'odio. Il motivo stesso dell'esistenza di Jar Jar è sbagliato; perché cercare di rendere QUELLO una mascotte carina per attirare i bambini verso la saga di George Lucas è un concetto marcio in principio. Farlo parlare in quel modo e farlo muovere con quelle movenze non rimpiazza un design decisamente poco ispirato e una funzione praticamente nulla ai fini dell'economia della vicenda narrata. E quindi via a fenomeni di disappunto di ogni tipo: disegni, video, lettere e quant'altro con cui i fan non hanno mai smesso di invadere il web ancora ad oggi. All'epoca l'hating nei confronti dell'orecchiuta spalla comica divenne talmente grande che LucasFilms venne costretta a cancellare completamente diverse scene in cui compariva fino a ridurre la sua presenza, nell'ultimo film, ad una breve comparsata di un paio di battute. Insomma: brutto personaggio + ruolo totalmente inutile = odio sensato.


2)Joffrey Baratheon - Game Of Thrones




Qui l'odio diventa funzionale al ruolo del personaggio. L'usurpatore del trono è pensato a tavolino proprio per provocare ogni bruttura umana da parte degli spettatori, e dei lettori, di Game Of Thrones. In questo caso parlare di "odio" ha poco senso, poiché si tratta proprio del ruolo affibiato al personaggio facendo combaciare funzioni narrative a quelle di affezione del pubblico. Tutto ciò rende Joffrey non solo un gran personaggio, decisamente ben interpretato dal ragazzetto di Batman Begins, ma anche uno degli esempi più calzanti della coesione di cui parlavo prima. Ripetendo l'equazione di cui sopra: buona scrittura + ruolo funzionale = odio strumentale.

3)Skyler White - Breaking Bad



Se andiamo a ripescare quel profilo Tumblr citato ad inizio articolo noteremo che il post riguardante la moglie di Walter White elenca, tra i motivi che dovrebbero giustificare le innumerevoli prese di posizione negativa nei suoi confronti, "noiosa a livelli fastidiosi, piagnucolona e brontolona" ("annoying, whiny, a nag"). E bene mi dispiace dirlo ma se voi riconoscete il vostro pensiero in queste parole vi state sbagliando di grosso. Il fine principale di Breaking Bad è quello di raccontare la vita nella maniera più verosimile e realistica possibile, non di farvi vedere Walt e Jesse (per cui io, sinceramente, troverei molto più sensato avercela a morte; data la sua innata ed oggettiva idiozia, che è un'altra delle componenti fondamentali della buona riuscita del telefilm) vendere droga e partecipare a qualche sparatoria. Un contraltare come Skyler, nella vicenda, non solo è necessario ma non si poteva chiedere di meglio: la fragilità d'animo che la porta ad effettuare alcune scelte durante la serie o il semplice opporsi in maniera categorica a ciò che suo marito compie non sono solo un  "side effect" ma una delle tante chiavi di volta che orientano la narrazione verso l'intimismo e la drammaticità. La stessa Anna Gunn, attrice che interpreta il personaggio, ha espresso il proprio parere riguardo i sentimenti dei fan sul New York Times cercando di chiarire quale fosse il ruolo che Vince Gilligan, autore di Breaking Bad, aveva in mente e spiegando i perché che risiedono dietro le azioni e i pensieri di Skyler. Provare odio o sentimenti negativi nei confronti di ruoli come questo non è solo completamente ingiustificato ma dimostra anche una certa interpretazione sbagliata della funzione e del senso dell'opera. Concludendo con la solita formuletta matematica ruolo frainteso + costruzione e scrittura eccelsa = odio ingiustificato.

Questi tre esempi sono quelli più comuni e facilmente riscontrabili se cercate un minimo tra i vari meandri del web, ma non sono gli unici. Si tratta dei tre più significativi per spiegare le tre diverse "categorie" di odio ma voi siete liberissimi di segnalarne di altri o, ancora, raccontarmi perché secondo voi quanto scritto sopra non regge. Sono prontissimo a rispondervi dimostrando quanto ho cercato di enunciare con questo articolo.

Vi ringrazio per l'attenzione,
-Luca